Mondo

«Oppenheimer», il dramma dell'uomo contemporaneo.
Al cinema la storia del "padre della bomba atomica"

di Georgia Schiavon

«Quando le bombe atomiche si saranno aggiunte come nuove armi agli arsenali di un mondo in guerra [...] allora il genere umano maledirà i nomi di Los Alamos e di Hiroshima». In queste parole di Robert Oppenheimer risuona il dramma dello scienziato moderno, stretto tra il richiamo della conoscenza, che lo spinge ad addentrarsi nelle leggi più recondite della natura e ad appropriarsene fino a riprodurle, e quello della coscienza, che lo porta a interrogarsi sulla sua responsabilità, ovvero sulla liceità e sui limiti di ciò. Ma quella di Oppenheimer è anche la tragedia dell'uomo contemporaneo, dell'uomo dell'età della tecnica, costretto a una funzione scissa dalla coscienza, alla mera esecuzione del proprio dovere, in un destino che accomuna, fino ad uguagliare, un ufficiale nazista come Adolf Eichmann, responsabile dello sterminio degli Ebrei nei campi di concentramento, ad un militare americano come Claude Eatherly, il pilota che sganciò la bomba atomica sulla città di Hiroshima. Ma se, a volte, come nel primo caso, la coscienza sembra tacere, talora, come nel secondo, il tormento interiore esplode fino a prendere le forme della nevrosi.
 
La vicenda di Oppenheimer, forse collocabile tra questi due estremi, è ripercorsa dal film di Christopher Nolan, che sarà proiettato nelle sale italiane dal 23 agosto, basato sulla biografia di Kai Bird e Martin Sherwin, Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica. Il trionfo e la tragedia di uno scienziato, vincitrice del premio Pulitzer nel 2006: una dettagliata ricostruzione della vita professionale e privata del fisico americano di origine ebraica, incaricato, nel 1942, durante la seconda guerra mondiale, della direzione scientifica del laboratorio di Los Alamos, costruito in segreto nelle montagne del New Mexico per la realizzazione del progetto Manhattan, il programma che generò in pochi anni l'arma più letale della storia dell'umanità, la bomba nucleare. Il film è uscito negli Stati Uniti proprio a pochi mesi dalla riabilitazione ufficiale di Oppenheimer, che a metà degli anni Cinquanta precipitò dagli onori di cui era stato fatto oggetto nell'immediato dopoguerra alle accuse di spionaggio e tradimento della nazione cui fu chiamato a rispondere davanti alla Commissione per l'Energia Atomica (AEC), che portarono alla revoca della sua autorizzazione di sicurezza (security clearance), ovvero del nulla osta per l'accesso ai segreti militari.
 
Una figura – proprio per la sua drammaticità – difficile da inquadrare: durante il progetto Manhattan egli mantenne un atteggiamento ambiguo sulle questioni etiche, manifestando infine una certa condiscendenza con i disegni del potere, politico e militare. Nell'estate del 1945 si adoperò per esaudire le richieste del generale Leslie Groves, il comandante militare del progetto, che faceva pressioni perché la bomba venisse testata prima della conferenza di Potsdam, in programma per il 17 luglio, durante la quale il neoeletto presidente Harry Truman informò poi ufficialmente della sua esistenza l'Unione Sovietica, alleata degli Stati Uniti. Il test, che Oppenheimer battezzò Trinity, venne effettuato ad Alamogordo, nel deserto del New Mexico, il 16 luglio alle cinque e mezza del mattino, non appena le condizioni meteorologiche – per quella nottata era infatti atteso un violento acquazzone che lo avrebbe reso troppo rischioso – lo permisero. L'ordigno venne fatto esplodere sotto gli occhi, schermati da occhiali, di un gruppo di scienziati ed ufficiali che osservavano a chilometri di distanza. Isidor Rabi, guardando Oppenheimer mentre si incammina verso la sua auto per fare rientro a Los Alamos, scorge la sagoma di un uomo che porta il peso di un destino inevitabile. Oppenheimer raccontò in seguito che in quegli istanti gli risuonarono nella mente i versi di un antico testo sacro indiano: «Sono diventato morte, il distruttore dei mondi».

Già durante la direzione del progetto Manhattan, lo scienziato aderì al principio della cooperazione internazionale sull'energia atomica, una posizione sostenuta dal fisico olandese Niels Bohr, condotto sotto falso nome a Los Alamos, dove più che delle questioni tecniche, si interessò di quelle etiche («È per questo che sono venuto in America», spiegò in seguito: «Non avevano bisogno del mio aiuto per costruire la bomba atomica»). Secondo questa tesi, la portata letale delle bombe atomiche si sarebbe potuta contenere solo attraverso la collaborazione scientifica e il controllo internazionale sullo sviluppo e l'impiego dell'energia nucleare. Tuttavia, al momento della discussione di questa proposta durante la riunione dell'Interim Committee – un comitato provvisorio composto di illustri esponenti del mondo politico, scientifico e industriale, chiamati a pronunciarsi sul prossimo impiego della bomba – Oppenheimer non riuscì a imporre l'opzione di uno «scambio di informazioni prima che la bomba sia effettivamente usata».

Alla vigilia del lancio delle bombe, nel giugno del 1945, un gruppo di scienziati, capeggiati da Leo Szilard (lo stesso fisico che nel 1939 sottopose al presidente Franklin Delano Roosevelt una lettera firmata da Albert Einstein che metteva in guardia sulle ricerche condotte dalla Germania nazista per la realizzazione della bomba, inducendo il governo americano ad iniziare un suo programma nucleare), sottoscrive una petizione, nota come "rapporto Franck", per scongiurare il lancio delle bombe su obiettivi civili, senza alcun preavviso, proponendo un atto esclusivamente dimostrativo della loro potenza distruttiva, in un luogo disabitato, alla presenza di osservatori internazionali. Oppenheimer ostacolò la circolazione della petizione e, anche facendosi schermo del suo ruolo di scienziato («noi, come uomini di scienza, non [...] ci attribuiamo particolari competenze nella soluzione dei problemi politici, sociali e militari che si presenteranno con l'avvento del potere atomico»), non si oppose all'impiego militare delle bombe sulle città giapponesi. La bomba all'uranio, Little Boy, e quella al plutonio, Fat Man, sarebbero state sganciate rispettivamente il 6 agosto su Hiroshima e il 9 su Nagasaki, provocando la morte di centinaia di migliaia di persone.

Dopo la guerra Oppenheimer lascia la direzione di Los Alamos, riprendendo la carriera universitaria, pur assumendo comunque l'incarico di presidente del gruppo dei consulenti scientifici dell'AEC. Già in un incontro con Truman nell'ottobre del 1945, provocando l'irritazione del presidente, aveva manifestato il suo dissidio: «sento il sangue sulle mie mani». Nel 1946 il fisico si rifiuta di presenziare ai test nucleari nell'atollo di Bikini, motivando la sua presa di distanza in una sarcastica lettera a Truman, nella quale mette in dubbio «l'idoneità di un test esclusivamente militare di un'arma atomica, in un'epoca in cui i nostri programmi per un'effettiva eliminazione di queste armi dagli arsenali nazionali sono appena agli inizi».

Negli anni successivi egli espresse apertamente la sua opposizione alla realizzazione della bomba all'idrogeno, la bomba H, un progetto cui già da anni lavorava il fisico Edward Teller. Le sue ragioni non vertevano meramente su quelle che egli riteneva difficoltà tecniche: quando, nel 1949 – in piena guerra fredda – il governo americano viene a sapere che anche l'Unione Sovietica ha testato la sua bomba atomica, egli spera nell'occasione per l'avvio di una politica di collaborazione tra le due superpotenze; al contrario, il fatto convince Truman della necessità di procedere con la costruzione della bomba all'idrogeno.
 
Teller, evidentemente sentitosi ostacolato nel suo obiettivo, alimentò il discredito nei confronti di Oppenheimer, recandosi, nel giugno del 1951, negli uffici dell'FBI. Le deposizioni di Teller non fanno che confermare i sospetti dell'ufficio investigativo federale, che già da anni ne controllava i movimenti. Oppenheimer era stato infatti più volte oggetto delle sue attenzioni. Nel giugno del 1943 l'FBI lo seguì fino a San Francisco, dove ebbe il suo ultimo appuntamento con Jane Tatlock, militante del partito comunista, con la quale si era fidanzato negli anni Trenta ed aveva continuato ad intrattenere una relazione anche dopo il suo matrimonio con Katherine Puening. Vi era il timore che durante l'incontro Oppenheimer potesse rivelare informazioni riservate sul progetto di cui era a capo: in realtà fu il suo addio alla donna che continuava ad amare, che morì suicida dopo pochi mesi. Un paio di mesi dopo, per di più, egli si sentì in dovere di riferire agli agenti del controspionaggio che un suo amico, il professor Haakon Chevalier – del quale tuttavia solo successivamente, messo sotto pressione, fece il nome – interpellato da un conoscente, aveva tentato di reclutare degli scienziati disponibili a trasferire informazioni sul progetto all'Unione Sovietica. Oppenheimer declinò con fermezza la richiesta, ma la sua confessione dette adito a insistenti e protratte indagini.

Gli ormai datati sospetti dell'FBI si incontrano con l'intenzione dei vertici dell'AEC di «eliminare Oppenheimer». Il risultato di questa convergenza fu un documento, prodotto sul finire del 1953, contenente ventiquattro capi di accusa, dove quella finale – l'opposizione alla realizzazione della bomba H – appare come l'esito delle precedenti, che riesumano il passato filocomunista di Oppenheimer, che, pur non essendo mai stato iscritto al partito, negli anni Trenta si era avvicinato alla sua ideologia, per allontanarsene poi all'inizio degli anni Quaranta. Ma nel clima maccartista dei primi anni Cinquanta il suo rifiuto di collaborare alla realizzazione della bomba all'idrogeno assume una connotazione di favoritismo nei confronti dell'Unione Sovietica. Oppenheimer, al quale viene prospettata l'alternativa di dare le dimissioni dal gruppo scientifico dell'AEC, sceglie invece di sottoporsi al giudizio della medesima. Il processo si concluderà nel maggio del 1954 con la revoca della sua autorizzazione di sicurezza.

Dopo la parziale riabilitazione, con l'assegnazione del premio Fermi nel 1963, quattro anni prima della morte, è arrivata, postuma, alla fine dello scorso anno, l'assoluzione da parte del Dipartimento dell'energia degli Stati Uniti, che ha definito ingiusto il processo a Oppenheimer, riaffermando la sua fedeltà nei confronti del paese.

Celebrato nel dopoguerra come un "moderno Prometeo", come questa tragica figura del mito Oppenheimer pagherà il prezzo della condanna. Una condanna irrevocabile, come quella che Leonardo Sciascia, in una nota del romanzo
La scomparsa di Majorana, fa emergere dal confronto con la sorte del fisico catanese: secondo Sciascia, Ettore Majorana, nel 1938, avrebbe scelto di scomparire poiché avrebbe intuito le conseguenze nefaste delle scoperte sulla fissione nucleare, alle quali stava partecipando come allievo di Enrico Fermi. Ma anche, dall'altra parte, secondo l'interpretazione del dramma teatrale Sul caso di Robert Oppenheimer di Heinar Kipphardt, l'ingiusta condanna dell'uomo di scienza, scaricato dal potere non appena si ribella al suo asservimento al sistema.
 
Come ha osservato il suo collega ed amico Hans Bethe, la bomba sarebbe stata costruita anche senza l'apporto di Oppenheimer, tuttavia solo lui ha saputo dare al progetto Manhattan l'impulso necessario alla sua ultimazione prima della fine della guerra. Dall'invenzione – e dall'uso – della bomba atomica è uscito mutato non solo il volto della guerra, ma anche il volto dell'umanità. Come predisse Niels Bohr nel 1944, «è ormai evidente che siamo di fronte a uno dei più grandi trionfi della scienza e della tecnica, destinato a influenzare profondamente il futuro dell'umanità [...] sta per essere creata un'arma di potenza mai raggiunta che cambierà tutte le condizioni delle guerre future». Una riflessione sviluppata dal filosofo Günther Anders, che legge il controllo totale, la privazione della libertà che caratterizza sempre di più la nostra epoca, come la diretta conseguenza della minaccia totale, la minaccia nucleare, che lo giustifica per necessità di sicurezza. Oppenheimer diventa allora il simbolo dell'uomo del nostro tempo, che nell'adeguamento al sistema cerca la sua realizzazione; che nella decisione, per quanto impotente, della sua sottrazione ad esso ritrova la sua umanità. 

Georgia Schiavon

Ultimo aggiornamento: 18/09/2024 14:45